Con la Circolare n. 15786 del 10/11/2017, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare interviene in merito alla corretta interpretazione normativa di alcuni aspetti applicativi inerenti la gestione dei materiali di riporto, a seguito dell’entrata in vigore del recente regolamento sul riutilizzo delle terre da scavo (DPR 120/2017).
L’obiettivo dell’azzeramento del consumo di suolo è stato definito a livello europeo già con la Strategia tematica per la protezione del suolo del 2006, che ha sottolineato la necessità di porre in essere buone pratiche per ridurre gli effetti negativi del consumo di suolo.
Lo stesso DPR 120/2017 sulla gestione delle terre e rocce da scavo, all’art. 1 comma 2 riporta tra le finalità del decreto stesso quella di razionalizzare e semplificare le modalità di utilizzo delle stesse (terre - n.d.r).
In quest’ottica nel prossimo futuro, per il limitare i consumi di suolo, negli ambiti urbanizzati le nuove realizzazione edilizie ed infrastrutturali dovranno rivolgersi essenzialmente alla rigenerazione e riqualificazione dell'esistente: il terreno rimaneggiato, con eventuale presenza di materiali antropici (il riporto, appunto) il terreno prevalente da trattare.
La gestione di questi materiali dovrà necessariamente avvenire in modo sostenibile, senza cedere alla troppo semplicistica e controproducente opzione dell’asportazione e avvio a smaltimento (con eventuale rimpiazzo mediante terreno vergine di cava) che oggi rappresenta la soluzione ancora maggiormente applicata.
Tuttavia norme troppo complesse o suscettibili di interpretazioni diverse, in molti casi determinano la qualifica dei materiali di riporto come rifiuti andando ad aumentare la produzione nazionale di rifiuti, in contrasto con la disciplina europea di contenimento dei rifiuti e di aumento dei prodotti riutilizzati.
Di seguito faccio il punto sullo stato di fatto della normativa anche alla luce della recente Circolare MAATM Prot. 15786 del 10/11/2017.
Le matrici materiali di riporto sono “costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.”
La natura del terreno di riporto è assai variabile, in senso orizzontale e verticale, anche su brevi distanze; in siti dove non vi sia stata adeguata documentazione delle attività antropiche pregresse, la natura del materiale può essere determinata solo attraverso un’indagine sito specifica basata su sondaggi eseguiti con una maglia di campionamento molto fitta.
In linea generale le matrici possono essere suddivise in tre macrocategorie merceologiche con specifiche caratteristiche salienti.
La prima definizione di "matrici di riporto" la si deve al DL 2/2012 convertito con modifiche in legge n. 28/2012, successivamente modificato dall’art. 41 del DL 69/13, il quale recitava:
(Interpretazione autentica dell'articolo 185 del decreto legislativo n.152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti)
Tale definizione non è sostanzialmente diversa, e certo non incompatibile, con la definizione che a suo tempo il DM 05/02/98 aveva offerto per le terre e rocce da scavo: “materiale inerte vario costituito da terra con presenza di ciotoli [sic], sabbia, ghiaia, trovanti, anche di origine antropica”.
Il nuovo DPR 120/2017 tratta specificatamente delle matrici materiali di riporto che vengono ricomprese nella definizione di «suolo»: lo strato più superficiale della crosta terrestre situato tra il substrato roccioso e la superficie. Il suolo è costituito da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi, comprese le matrici materiali di riporto ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28. (il rinvio al citato D.L. n. 2/2012, relativo alla nozione di materiali di riporto, complica un po’ le cose ma pazienza).
Con questa definizione il Legislatore conferma un consolidato orientamento che consente l’esclusione dal regime dei rifiuti anche per terre e rocce purché sia rispettato il limite massimo del 20% in peso per i materiali di origine antropica, frammisti a quelli di origine naturale, ed introduce, in allegato 10 al DPR 120/17, una metodologia di calcolo per individuare i materiali di natura antropica nel riporto, in un numero di campioni che possa essere considerato rappresentativo del volume dello scavo.
Nel fare sintesi delle novità, Vittorio Giampietro, in un interessante articolo pubblicato sulla rivista Ambiente & sviluppo 8-9/2017, evidenzia che il nuovo Decreto, “non viene confermata l'interpretazione, invero molto restrittiva, fornita dal MATTM nel parere 13338/TRI del maggio 2014, secondo la quale le disposizioni sulle matrici di riporto, già introdotte dall’art. 41, comma 3 della Legge n. 98/ 2013, dovevano ritenersi applicabili unicamente a riporti storici, formatisi a seguito di conferimenti avvenuti antecedentemente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 915/1982, che per la natura dei rifiuti e per le modalità di deposito, non integrassero la fattispecie di discarica abusiva”.
Nel caso dei materiali di riporto di origine antropica, l’art.4 comma3 prevede l’esecuzione del test di cessione, secondo le metodiche previste dal D.M. 5 febbraio 1998, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle acque sotterranee (aspetto già evidente nella nota di risposta del MATTM a ISPRA, Prot. 13338/TRI del 14 maggio 2014).
Il nuovo Decreto, tuttavia, non fornisce alcuna disposizione e/o procedura in merito alla gestione dei riporti che presentino valori sull’eluato superiori alle CSC per le acque sotterranee.
Se sei interessato alle altre novità contenute nel DPR 120/2017 relativamente a gestione nei piccoli cantieri, terreni contenenti amianto e stabilizzazione a calce non perderti i nostri post ad hoc!
Il MATTM ha cercato di porre rimedio all’incertezza gestionale delle matrici materiali di riporto con la Circolare n. 15786 del 10/11/2017 nella quale, in merito alla gestione delle matrici materiali di riporto, si precisa che nel caso in cui tali materiali non siano conformi al test di cessione ai sensi del comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 2 del 2012, in relazione ai successivi interventi normativi rappresentati dall’articolo 34, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 133 del 2014 e dall’articolo 26 del DPR n. 120/2017 sono fonti di contaminazione.
In particolare nel parere del MATTM, Prot. 15786, a seguito dell’esame del quadro normativo si sancisce che:
In tal caso, ai sensi dell’art. 3 comma 3 del decreto legge 2/2012 convertito con modifiche in L. n. 28/2012 e smi, le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione devono, alternativamente e non cumulativamente, essere:
Vale la pena sottolineare che nelle fattispecie di cui alle lettere a), b), c) non compare un’altra fattispecie ovvero il caso in cui il materiale risulta non contaminato (non superamento delle CSC per suoli-sottosuoli) ma con test di cessione non conforme ai limiti stabili. In tal caso la matrice di riporto deve essere asportata e gestita come rifiuto e/o sottoposta a bonifica anche se non sono superate le CSC per il suolo-sottosuolo (artt. 239 e segg.)
Una soluzione che è stata ventilata è quella di gerarchizzare le indagini svolte ovvero di verificare, ai fini della qualifica di sottoprodotto o del reimpiego in situ, il rispetto in sequenza:
Attendiamo sviluppi…