Secondo l’Art. 2 comma g del D. Lgs. 13 gennaio 2003 n. 36, con il termine “discarica” si intende l’area “adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo (…), nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”.
La discarica è, dunque, la destinazione finale di quella parte di rifiuti per i quali non è possibile il riciclo o altra forma di recupero.
Una volta conferito, il rifiuto, per naturale processo di decomposizione e infiltrazione di acqua, genera percolato e biogas: fonti responsabili del cosiddetto “cattivo odore”.
Quanto più il rifiuto residuo presenta un’alta percentuale di frazione organica, tanto più intenso, e duraturo nel tempo, potrà essere il suo impatto olfattivo.
Come abbattere le emissioni odorigene generate da questi processi di decomposizione?
Una soluzione potrebbe essere quella di migliorare gli attuali sistemi di captazione del biogas ed evitare, così, che i componenti odorigeni si disperdano in atmosfera.
Ne abbiamo parlato con Zero3, start up emiliano romagnola fondata nel 2018 e licenziataria di diversi brevetti in campo ambientale ed energetico.
Secondo l’ultimo Rapporto ISPRA sui Rifiuti Urbani (331/2020), l’Italia - che ha registrato tra il 2017 e il 2018 un incremento del 2,3 % di produzione di rifiuti urbani pro capite – avvia a riciclaggio il 32% dei rifiuti urbani trattati (il cui valore totale nel 2018 ammonta a più di 27 milioni di tonnellate), e a compostaggio e digestione il 23%, con una quota di riciclo totale pari al 55%.
Il Rapporto dichiara, inoltre, che il nostro Paese smaltisce in discarica circa 6,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (circa il 21% di quelli prodotti), registrando un livello annuo pro capite pari a 104 kg per abitante (2019).
Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani nell’UE, anno 2018. Dati ordinati per percentuali crescenti di smaltimento in discarica (ISPRA Rapporto rifiuti urbani 2020, n. 331/2020)
La politica europea degli ultimi anni pone sempre più l’accento sulla prevenzione dei rifiuti e considera lo smaltimento o il conferimento in discarica come le opzioni meno desiderabili, non solo per una gestione circolare e sostenibile della materia (rifiuto), ma anche per il raggiungimento della carbon neutrality entro il 2050.
Con il nuovo D.Lgs n. 121 del 3/9/2020, in recepimento della Direttiva (UE) 2018/850 (che modifica la direttiva 1999/31/CE), oltre ai nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, sono stati introdotti due importanti obiettivi che l’Italia dovrà raggiungere nei prossimi anni:
Questo provvedimento non risolverà, però, del tutto il problema del “cattivo odore” che rimarrà, comunque, un aspetto da gestire.
Si definisce biogas di discarica (Landfill Gas - LFG) la miscela gassosa generata durante le fasi di decomposizione anaerobica dei rifiuti - che contengono una certa frazione organica - e composta principalmente da gas metano (CH4) e anidride carbonica (CO2): gas essenzialmente inodori a temperatura e a pressione ambiente.
La produzione di metano si instaura dopo un periodo di tempo compreso tra i 3-6 e i 9-12 mesi dall’abbancamento del rifiuto in discarica e procede fino alla totale degradazione della sostanza organica o fino a quando esistono le condizioni ambientali idonee (“fino a trenta anni dall’iniziale conferimento” come afferma Zero3).
In relazione all’incidenza della fermentazione aerobica nel processo di degradazione del rifiuto e all’intrusione di aria durante la captazione, è possibile rilevare tra i macrocomponenti della miscela, oltre al metano e all’anidride carbonica, anche l’ossigeno (O2) e l’azoto (N2).
In alcuni casi è riscontrabile, inoltre, la presenza di idrogeno (H2): gas tipico della fase di transizione acetogenica; tale presenza è comunque limitata nel tempo e nella quantità.
La presenza, invece, di acqua (H2O) allo stato di vapore è quasi costante; mentre la presenza di idrogeno solforato (H2S) e ammoniaca (NH3), pur essendo ricorrente, difficilmente raggiunge valori vicino al punto percentuale. Anche la presenza di monossido di carbonio (CO) è poco rilevante.
Sebbene il metano, l’anidride carbonica e l’aria caratterizzino consistentemente il biogas, gli altri gas citati, pur con incidenze minori, forniscono alla miscela particolari caratteristiche di pericolosità, aggressività e, soprattutto, odore. Sono proprio quest’ultimi i principali responsabili dell’impatto odorigeno delle discariche.
Il gas metano e l’anidride carbonica non sono solo i maggiori componenti del biogas di discarica ma sono anche considerati tra i gas climalteranti (GreenHouse Gases - GHG) più impattanti.
In particolar modo, l’ultimo rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC (ed.2014; il prossimo report sarà pubblicato nel 2022) evidenzia come il metano - considerando un orizzonte temporale di 100 anni - sia caratterizzato da un Global Warming Potential-GWP ventotto volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica.
A fronte di questo dato, appare ancora più preoccupante la rilevazione dell’Annuario dei dati Ambientali ISPRA (n.89/2020) secondo cui il settore dei rifiuti rappresenta la seconda fonte nazionale di immissione di metano in atmosfera
Emissioni nazionali settoriali di CH4 secondo la classificazione IPCC (ISPRA Annuario dei dati ambientali 2019, n.89/2020)
Le discariche - soprattutto quelle di nuova progettazione - prevedono degli impianti di captazione del biogas utili a limitare l’impatto odorigeno e le emissioni climalteranti in atmosfera.
Qualora il biogas di discarica non sia captato, però, correttamente - e perciò si liberi in atmosfera -, può comportare ulteriori criticità oltre a quelle già citate. Ricordiamo quali possono essere:
Tutte queste criticità si possono manifestare contemporaneamente, aumentando il rischio generale per la salute umana e l’ambiente.
Per quanto detto fin qui, appare chiaro quanto rivestano un ruolo fondamentale i sistemi di captazione del biogas di discarica: migliore è la loro efficienza, minore è la possibilità di dispersioni libere di biogas in atmosfera, nonché l’instaurarsi di sovrapressioni e fenomeni di migrazione interni al corpo discarica.
Non solo, i sistemi di captazione aumentano il livello di risparmio energetico e limitano l’impatto climatico delle discariche.
Il biogas captato, infatti, può essere avviato a recupero energetico generando energia meccanica (energia elettrica e/o calore) da fonte rinnovabile (Direttiva UE 2018/2001 - art.2, punto 1).
In questi ultimi anni, sono state sviluppate e adottate diverse soluzioni per migliorare sensibilmente l’efficienza dei tradizionali sistemi di captazione del landfill gas.
Tra queste, risulta senza dubbio il sistema messo a punto dalla Zero3, denominato System and method to control a biogas collection plant - più brevemente Gas Stabilizer -, e brevettato a livello internazionale.
Gas Stabilizer è una macchina per l’automazione della captazione del biogas - attualmente in funzione presso la discarica di Fano (PU) che gestisce fino a 40.000 t/anno - e può essere applicata a qualunque tipologia di impianto collettore biogas o stazione di regolazione, ovvero può essere installata su impianti collettori nuovi e/o integrata su impianti collettori esistenti.
Nel seguente schema sono identificate le componenti principali del Gas Stabilizer.
Struttura Gas Stabilizer Zero3
Il sistema Gas Stabilizer, rispetto ai tradizionali sistemi di captazione, apporta numerosi benefici, tra i quali si ricordano:
Gas Stabiliser contribuisce, inoltre, alla riduzione della Carbon Footprint e al raggiungimento degli obiettivi di transizione ecologica della politica nazionale ed europea.
Impianto Gas Stabilizer Zero3