6 cose da sapere sul danno ambientale

Spesso sentiamo parlare di danno ambientale in relazione a scenari di incidente ambientale o di contaminazione del suolo, dell’aria, dell’acqua dovuti a comportamenti irresponsabili che generano danni incalcolabile agli esseri umani ed all’ambiente. In questo articolo ho cercato di fare una breve sintesi dei principali aspetti normativi a partire dalla Legge istitutiva del Ministro dell’Ambiente fino alla recente normativa in materia di ecoreati.
Tempo stimato di lettura: 13 minuti

Cos’è il danno ambientale

La direttiva 2004/35/UE ha istituito nell’Unione europea, un quadro giuridico per la responsabilità ambientale, basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale.

Per danno ambientale la Direttiva intende:

  1. danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat. L’entità di tali effetti è da valutare in riferimento alle condizioni originarie, tenendo conto dei criteri dettati dalla medesima direttiva;
  2. danno alle acque, ossia qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque interne (sia superficiali che sotterranee), nonché sullo stato ambientale delle acque marine;
  3. danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo.

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Il danno ambientale nell’ordinamento italiano

Il legislatore nazionale ha dato attuazione alla Direttiva con la parte VI del D.Lgs. n. 152/2006.

Tuttavia, una prima definizione di danno all’ambiente è stata data Legge 8 luglio 1986, n. 349, “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”, che lo definisce come “compromissione dell’ambiente attraverso un qualsiasi fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge”.

La definizione di danno ambientale è contenuta nell’art. 300 del Codice, che cerca di tener conto delle definizioni di “danno” e “danno ambientale” fornite dalla direttiva.

L’art. 300, comma 1, definisce “danno ambientale” qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima (si tratta quindi di una definizione che riproduce, nella sostanza, quella di “danno” dettata dalla direttiva).

L’art. 300, comma 2, dispone poi che, ai sensi della direttiva 2004/35/CE, costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria; alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate; alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali; al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente (si tratta quindi di una definizione in linea con quella europea di “danno ambientale”).

Il campo di applicazione è definito dall’art. 298-bis, introdotto nel testo del Codice dall’art. 25 della legge 97/2013 che, in linea con le norme della direttiva, introduce la regola della responsabilità oggettiva risarcitoria sganciando dai requisiti del dolo e della colpa la responsabilità per danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato 5 alla parte VI del D.Lgs. 152/2006 (omologo dell’allegato III della direttiva).

Secondo quanto disposto dall’art. 298-bis, la disciplina della parte VI del Codice si applica:

  1. a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato 5 (che riprende l’allegato III della Direttiva) e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività;
  2. b) al danno ambientale causato da un’attività diversa da quelle elencate nell’allegato 5 e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo.

In pratica ci sono due scenari nei quali si verifica la responsabilità:

  1. danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III della direttiva, quali:
  • industrie energetiche,
  • produzione e trasformazione dei metalli,
  • industrie minerarie,
  • industrie chimiche,
  • gestione dei rifiuti,
  • produzione su larga scala di cellulosa, carta e cartone, tintura tessile e concerie,
  • produzione su larga scala di cibo, carne e prodotti a base di latte;
  1. danno ambientale a specie protette e habitat naturali (o minaccia imminente di questo) causato da una delle attività professionali non elencate nell’allegato III, in caso di comportamento doloso o colposo della società.

L’applicazione pratica della Direttiva 2004/35/CE nei vari stati dell’Unione Europea è riportata nella Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo COM(2010) 581 del 12.10.2010.

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La prevenzione e il ripristino

L’azione di prevenzione, in conformità alla Direttiva, è prescritta per l’ipotesi in cui non si è ancora verificato alcun danno ma esiste una minaccia imminente che esso si verifichi.

In tal caso l’operatore deve adottare a proprie spese le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza entro ventiquattro ore, previa comunicazione al Comune, alla Provincia, alla Regione o alla Provincia autonoma del territorio interessato, nonché al Prefetto, il quale informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

A sottolineare l’importanza dell’azione preventiva è prevista l’irrogazione a carico dell’operatore inadempiente di una sanzione amministrativa non inferiore a mille Euro, né superiore a tremila Euro per ogni giorno di ritardo.

La procedura prescritta per il ripristino ambientale è analoga a quella per la prevenzione e anch’essa fedele trasposizione degli articoli della Direttiva.

Qualora un danno ambientale si sia verificato, l’operatore deve avvisare immediatamente il Comune, la Provincia e il Prefetto ed eventualmente le altre autorità statali competenti e ha l’obbligo di adottare tutte le iniziative idonee a “controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno (…) anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare”.

Il legislatore accorda una certa discrezionalità, consentendo di “gestire in altro modo” gli eventi dannosi, tuttavia la circoscrive individuando lo scopo delle iniziative nella prevenzione e limitazione di ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi.

Circa le iniziative da adottare in caso di danno ambientale leggi il nostro post sulla “Gestione delle emergenze ambientali”.

In applicazione del principio comunitario “chi inquina paga”, il D.lgs 152/2006 stabilisce che i costi necessari per realizzare le misure di prevenzione e ripristino ambientale sono posti a carico dell’operatore responsabile del danno.

Nel caso in cui il responsabile rimanga inerte o non sia individuato e sia anticipate delle spese per garantire un intervento immediato è possibile esercitare l’azione di rivalsa per il recupero dei costi anche grazie a garanzie reali o fideiussioni bancarie e con esclusione del beneficium escussionis.

Il risarcimento del danno ambientale

Dal punto di vista normativo la valutazione del risarcimento per danno all’ambiente in Italia trova fondamento e legittimazione nell’art. 18 della Legge 349/1986 che, al primo comma, recita:

qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”.

Successivamente, le disposizioni sul danno ambientale contenute nel c.d. “codice dell’ambiente” hanno subito delle rilevanti modifiche a seguito del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 e della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013), che ha imposto per il danno all’ambiente “misure di riparazione” escludendo, in via definitiva, di poter risarcire il danno all’ambiente per equivalente patrimoniale.

Entrambi i provvedimenti erano volti a rimediare a procedure di infrazione della UE ed in particolare la procedura di infrazione 2007/4679 relativa alla mancata trasposizione nell’ordinamento italiano del regime di responsabilità oggettiva per le attività pericolose

In sintesi il nuovo art. 311 D.Lgs. n. 152/2006, come da modifiche apposte dalla legge n. 97/2013, stabilisce che:

  • la nuova disciplina si applica anche ai giudizi pendenti e non ancora definiti da sentenza già passata in giudicato;
  • il danno ambientale non può, in nessun caso, essere risarcito per equivalente pecuniario, ma solo con misure riparative;
  • la riparazione può essere primariacomplementare o compensativa e la scelta di una piuttosto che l’altra avviene secondo quanto espressamente stabilito (ossia tutelare la salute e la sicurezza pubblica e a evitare che il costo della misura sia sproporzionato, rispetto ai vantaggi ambientali ricercati);
  • per la legge, inoltre, ciascuno risponde solo per la sua responsabilità personale (art. 311, co.3): occorre, quindi, determinare, prima di tutto, lo stato di conservazione dell’ambiente prima del danno causato, per poi addebitare al responsabile il danno aggiuntivo effettivamente cagionato.

Sulla materia il legislatore è intervento anche con la legge 22 maggio 2015, n. 68, di cui parlerò tra poco, e più precisamente con lart. 452-duodecies, rubricato “Ripristino dello stato dei luoghi” nel quale si prevede che, nel caso di condanna per i delitti contro l’ambiente (Parte VI-bis), il giudice in caso di condanna o di patteggiamento (ex art. 444 c.p.p.) ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e delle persone giuridiche (ex art. 197).

Nel successivo comma dell’art. 452-duodecies c’è un rinvio alle disposizioni del Titolo II della Parte Sesta del TUA “in materia di ripristino ambientale”.

La Direttiva 2008/99/CE e la Legge 22 maggio 2015, n. 68: i nuovi ecoreati

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Nella Direttiva 2008/99/Ce, destinata a introdurre regole comuni sui reati ambientali, per realizzare “efficaci metodi di indagine e assistenza all’interno di uno Stato membro o tra diversi Stati membri”, si precisa che “un’efficace tutela … esige sanzioni maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione della specie”

Il recepimento della direttiva 2008/99/CE in Italia è avvenuto con la legge 22 maggio 2015, n. 68, che ha introdotto nel codice penale, con il nuovo Titolo VI-bis “Dei delitti contro l’ambiente”, cinque delitti:

  • inquinamento ambientale: punisce chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di una risorsa ambientale (acqua, aria, suolo, sottosuolo), di un ecosistema, della biodiversità, della flora e della fauna;
  • disastro ambientale: punisce più gravemente chiunque provochi l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema, irreversibile o comunque difficilmente eliminabile, ovvero offenda la pubblica incolumità;
  • traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività: punisce molteplici condotte (cessione, acquisto, ricezione, detenzione, importazione, esportazione, trasporto, abbandono, ecc. ) aventi ad oggetto tale materiale;
  • impedimento del controllo: si realizza negando o ostacolando l’accesso ai luoghi agli organi di vigilanza e controllo, ovvero mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, comportamenti tutti finalizzati ad intralciare, eludere o impedire l’attività istituzionale di accertamento di responsabilità in materia ambientale;
  • omessa bonifica: a carico di chi, essendovi obbligato per legge, “non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi”.

E poi una serie di aggravanti e sconti di pena tra le quali quelle più significative sono:

  • il raddoppio dei termini prescrizionali per i nuovi delitti;
  • la specifica disciplina della confisca, anche per equivalente;
  • l’obbligo del condannato di recuperare o ripristinare lo stato dei luoghi;
  • l’obbligo a carico del Procuratore della Repubblica procedente di dare notizia delle indagini al Procuratore nazionale antimafia;
  • la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione estesa ai condannati per i maggiori delitti ambientali;
  • la modifica, con riferimento ai reati ambientali, del menzionato decreto legislativo n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, con la previsione di sanzioni pecuniarie ancora più elevate (per i delitti associativi, fino a € 1.549.000, pari a mille quote);
  • l’introduzione nel T.U.A. di un particolare procedimento per l’estinzione delle contravvenzioni ivi previste, che non abbiano cagionato danno o pericolo per le risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette;
  • la modifica della disciplina sanzionatoria relativa alle violazioni della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, prevista dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150.

L’estinzione delle contravvenzioni ambientali in assenza di danno

La Legge n. 68/2015 ha introdotto, all’art. 1, comma 9, una disciplina sanzionatoria degli illeciti penali, di natura contravvenzionale, che non hanno cagionato “danno o pericolo concreto attuale di danno alle risorse ambientali” (ovvero a quelle “urbanistiche e paesaggistiche protette”), e che prevede l’estinzione dei medesimi reati, secondo un procedimento già noto per i reati in materia di igiene e sicurezza del lavoro, a seguito di adempimento alle prescrizioni di legge, nel termine stabilito dalle autorità di vigilanza, previa sospensione del procedimento penale.

La valutazione in ordine alla ammissibilità alla procedura estintiva è rimessa all’organo accertatore che è tenuto ad impartire una prescrizione asseverata da ente specializzato nella materia trattata.

La nuova disciplina prevede, altresì, che il procedimento penale relativo alla contravvenzione resti sospeso dal momento dell’iscrizione e fino al momento in cui il Pubblico ministero riceve comunicazione dell’adempimento o del mancato adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo accertatore.

Dal punto di vista procedurale, l’art. 318ter prevede che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza in materia ambientale, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, ovvero la stessa polizia giudiziaria, impartisca al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario che può essere prorogato una sola volta, per un periodo non superiore a sei mesi, a richiesta del trasgressore, se vi siano specifiche e documentate circostanze tali da rallentare i tempi della regolarizzazione non ascrivibili al contravventore. Al comma 3 del medesimo articolo si precisa che l’organo accertatore, con la prescrizione impartita, potrà anche imporre delle specifiche misure di natura cautelare atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose.

L’articolo 318-quater definisce la fase della verifica delle prescrizioni impartite che l’organo accertatore deve compiere entro sessanta giorni dalla scadenza del termine indicato per adempiere.

Ne deriva che una volta accertato l’adempimento della prescrizione da parte dell’organo, lo stesso ammetterà il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Il pagamento della predetta somma determina l’estinzione della contravvenzione e di conseguenza la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero.

Quando, invece, dai controlli dell’organo di vigilanza dovesse risultare l’inadempimento della prescrizione impartita, l’organo accertatore ne darà comunicazione al Pubblico ministero ed al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella stessa prescrizione.

Nel caso di adempimento successivo alla scadenza del termine ma comunque tale da essere ritenuto congruo ovvero se l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione è eseguita con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, tali condotte vanno valutate ai fini dell’applicazione dell’articolo 162bis del codice penale (oblazione c.d. speciale) e, in tal caso, la somma da versare verrà ridotta alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Le novità introdotte con in materia di estinzione delle contravvenzioni ambientali hanno determinano dei margini di incertezza operativa agli operatori chiamati ad applicare la nuova disciplina causate dall’assenza di un sistematico apparato di definizioni e di univoci criteri valutativi.

ISPRA, al fine di ovviare a tale situazione, ha emanato il documento “Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex parte VI-bis D.Lgs. n. 152/2006” che contiene una sintesi dei risultati delle attività svolte dal Gruppo di lavoro appositamente istituito, comprensiva di:

  • un elenco degli orientamenti operativi più largamente condivisi,
  • alcuni criteri guida generali per la valutazione degli effetti delle conseguenze ambientali dei reati,
  • una tabella dedicata alla individuazione di prescrizioni-tipo per l’estinzione delle principali contravvenzioni ambientali.

LEGGI GLI INDIRIZZI OPERATIVI!

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Stefano Reniero

Come Amministratore di NEXTECO guido lo sviluppo di nuovi servizi e supporto i miei colleghi nelle sfide più impegnative, mettendo a loro disposizione la mia esperienza e le mie competenze. La mia passione è interpretare le esigenze emergenti e trasformarle in proposte di valore concrete per i nostri clienti.
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Come Amministratore di NEXTECO guido lo sviluppo di nuovi servizi e supporto i miei colleghi nelle sfide più impegnative, mettendo a loro disposizione la mia esperienza e le mie competenze. La mia passione è interpretare le esigenze emergenti e trasformarle in proposte di valore concrete per i nostri clienti.

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